IL FILO DI SABBIA
Racconti di solidarietà con il popolo saharawi
Domenica 5 maggio ore 17.30
Un documentario di Tommaso Valente e Paolo Maoret
Prodotto da Instant Documentary, CISP, Nexus ER, Rete Tifariti.
In collaborazione con la Regione Emilia-Romagna
distribuito da Instant Documentary
Delegata di produzione Laura Luppi
Fotografia Tommaso Valente
Suono Abdala Bani (presa diretta) – Giovanni Frezza (postproduzione)
Aiuto regia Hamudi Farayi
Montaggio Mattia Biancucci
Musiche Eugenio Valente
Delegata di distribuzione Emanuela Torregrossa
Protagonisti:
Fiorenzo Crestani
Giulia Olmi
Claudio Cantù
Sara Di Lello
“Quando ho cominciato a pensare a questo documentario desideravo poter restituire il peso dell’alienazione a cui il popolo saharawi è costretto da circa 50 anni e, allo stesso tempo, la capacità che ha di reagire alla sua segregazione. La relazione tra essere umani e ambiente per me è un elemento fondamentale per comprendere le dinamiche della realtà. Per ambiente, ovviamente, non intendo solamente quello naturale ma anche quello culturale. In questo caso, quindi, la condizione di rifugiati, la singolarità, l’unicità della stessa, anche rispetto ad altri rifugiati, non
fanno che rendere molto più interessante la specifica condizione del popolo saharawi. Ho cercato di fare un film politico, ma non ideologico, che possa trasmettere nella maniera più diretta le caratteristiche elementari della vita nei campi. Il caldo, il rumore, il silenzio, le difficoltà di comprensione e comunicazione, le relazioni dei cooperanti stranieri con gli abitanti di questo deserto assurdo, il più duro al mondo, i limiti, la forza, la tenacia, le possibili speranze, il paradosso della guerra, la disperazione, la dignità. La macchina a mano, nella la ricerca della relazione tra la figura umana e il paesaggio, è la cifra che ho prediletto da un punto di vista linguistico, così come i tempi di montaggio lunghi e il
tentativo di restituire il più possibile lo scorrere degli eventi, senza costruire troppo da un punto di vista filmico. La costruzione maggiore, probabilmente, è nella struttura corale del documentario più che all’interno delle singole scene. Le scelte musicali sono state ponderate sulla necessità di mediare tra la speranza e la frustrazione, tra la melodia e la dissonanza, a seconda delle situazioni. L’utilizzo più “pop” del piano o di sonorità mediterranee si avvicendano ad altri momenti dove la chitarra elettrica restituisce maggiore inquietudine alla ricerca di un approccio espressivo denotativo. Vorrei quindi che arrivassero, allo spettatore, sia la durezza dell’ambiente che la carica emozionale dei testimoni, per superare la semplice esposizione dei fatti e stimolare un contatto più umano con la storia e i protagonisti.