A Franca Rame

Domenica 19 gennaio, in occasione della giornata di studio “Roma ricorda Franca Rame” la Prof.ssa Delia Gambelli ci ha regalato questa bellissima testimonianza che ci fa piacere condividere.

Prima di tutto voglio ringraziare dal profondo del cuore Dario Fo per avermi invitata a intervenire in questa occasione. È probabilmente l’ultima volta che parlo in pubblico e farlo per Franca mi commuove e dà senso a tutto il mio percorso di lavoro. Tengo a ringraziare anche Marisa Pizza che in questi ultimi mesi è stata tramite, messaggero d’amore, tra me, Franca e Dario. Tengo non meno a ringraziare Federico Toniato che mi ha dato la disponibilità a leggere per me questa testimonianza nel caso ne fossi stata impedita. In questo caso avrei pregato Marisa di presentarlo come un consigliere parlamentare del Senato valoroso e saggio, come un ammiratore di Franca e come una persona dall’anima pura e bella, il che non è sempre un vantaggio nella vita e, sospetto che non lo sia nemmeno in Parlamento; ma proprio per questo lo avevo scelto.

“A Franca, attrice risplendente e splendida persona”. Questa era la dedica che avevo scritto a Franca Rame donandole il mio Arlecchino a Parigi. La dedica le era piaciuta molto, tanto che scherzosamente (con il suo eccezionale senso dell’umorismo) aveva dichiarato che l’avrebbe scelta come epitaffio.

In quel momento le parole della dedica mi erano sembrate corrispondere alla vera personalità di una donna che si era affermata nel teatro per la sua bravura, per il suo talento, la sua intelligenza e la sua bellezza; ma che riservava alla vita, al rapporto con gli altri le sue qualità più profonde. Oggi mi appaiono invece riduttive e sfocate. Suggeriscono una distanza tra vita e teatro, un confine tra gesto quotidiano e gesto d’arte che sono invece inscindibili: basti pensare al tocco di magia che Franca ha manifestato sui due piani. Penso all’effetto speciale delle sue apparizioni in scena: stabiliva un rapporto, confidenziale, di colloquio intimo con lo spettatore che si sentiva allo stesso tempo proiettato in un’altra dimensione.

Tutti i suoi interventi nel lavoro di Dario (al momento della scrittura e della regia), dicevano un senso del ritmo e del tempo fuori del comune, al di là del normale, un senso che scaturiva da una sapienza tecnica eccezionale, evidentemente appresa e assorbita fin dalla più tenera infanzia; ma c’era qualcos’altro: qualcosa di istintivo e di ispirato, come se quel senso lo captasse da un soffio lontano, dal respiro del mondo. A omologhe doti paranormali, sovrannaturali, ho attribuito negli anni l’effetto speciale che mi procurava la nostra amicizia.

Non ha mai finito di stupirmi il tempismo delle telefonate di Franca: arrivavano nel momento esatto in cui ne avevi bisogno, quando il suo nome che appariva nel display del cellulare provocava un balzo di gioia: Franca, Franca Rame sta chiamando me! Un balzo di gioia terapeutico. Sarà stata quell’emozione improvvisa, certo è che il dolore si distraeva, la malinconia evaporava e la depressione per un po’ si dimenticava di sé. Così ho finito per pensare che Franca avesse poteri taumaturgici; ma quando glielo dicevo, si metteva a ridere e improvvisava battute spiritose; perché,come tutti sanno, Franca è spiritosissima, oltre a possedere un’autoironia geniale e come ho già detto un vero talento umoristico. Era nata un 18 luglio, come Mandela; e nello scambiarci gli auguri (anch’io sono nata un 18 luglio) un volta il suo commento è stato: segno zodiacale cancro, ascendente stronza; e in quella parola c’era anche una scanzonata tenerezza per la propria fragilità, la propria ingenuità e c’era anche un’ironica indulgenza per chi ne approfittava.

La mia testimonianza oggi dà voce alle mille e una donne che Franca ha aiutato, nelle sue battaglie per tutti gli esseri fragili e disarmati, identificandosi nelle loro situazioni.

Non era solo uno slancio emotivo, non era soltanto compassione: era soprattutto una questione di giustizia: la sofferenza era percepita come un’ingiustizia. La sua condivisione efficace era un gesto politico, nell’accezione alta e originaria di questa parola, accezione che Franca ha tentato di recuperare, animata com’era dalla consapevolezza che la felicità non può prescindere dall’impegno per il bene comune.

Ma la sfera del quotidiano e l’attività rappresentativa disegnavano anche altri incroci.

Ogni vero artista è preliminarmente un artigiano e sa che la materia non è solo un mezzo strumentale, ma è la stoffa stessa dei sogni.

Penso naturalmente all’archivio. Il lavoro accanito di Franca di reperimento, raccolta e catalogazione di documenti e tracce di un’esperienza teatrale originale non costituisce solo un patrimonio unico per la storia del teatro: nasconde anche un segreto, il segreto dell’arte del teatro, che è insieme arte e industria.

È ormai noto che il segreto della Commedia dell’Arte è stato possibile indagarlo, interrogarlo soprattutto grazie agli archivi, ai documenti notarili, ai registri. E nel mio lungo errare alla ricerca di chiavi di lettura per gli enigmi del teatro molieriano il libro più utile si è rivelato un documento, un registro, il Registro in cui un attore della compagnia di Molière ha segnato ogni rappresentazione, le date, gli spostamenti, i proventi di ogni spettacolo, le novità, i successi e i fallimenti.

Il libro più utile; perché in assoluto lo strumento più illuminante è stato la regia di Dario di due pièces di Molière; spettacolo mitico andato in scena a Parigi alla Comédie Française, nel 1990.

A questo proposito non posso non evocare i miei debiti infiniti nei confronti di Dario: da sempre, fino alla sua presenza al mio congedo da Molière e dai miei studi sul teatro qualche anno fa.

Ma Dario e io sappiamo bene che all’origine di ognuno di quei debiti, di ogni nostro incontro, c’è Franca. E ora su Franca, su Dario e su Molière so anche altro, che mi è stato suggerito dal discorso bellissimo tenuto in Senato per commemorare Franca. Lì, una frase destinata a Molière è stata applicata a lei. (Qui non cito la frase, perché mi concerne troppo da vicino e perché sarà ripresa da Silvia Carandini nella cerimonia per la consegna a Franca Rame del Dottorato di Ricerca ad honorem.) Mi limito qui a notare che quella frase mi ha fatto misurare la profondità delle analogie che scorrono tra il teatro di Dario e Franca Fo e quello di Molière! Teatri attraversati entrambi da bagliori improvvisi e da ombre prolungate, da acrobazie verbali e riflessioni del gesto, da sproloqui concitati e da parole sospese, da sussurri e da risate fragorose. Con in comune soprattutto il progetto lucido di fare del palcoscenico non tanto un mezzo di diffusione di ragioni stabili, quanto un campo in cui sperimentare l’incrocio di nuovi e insieme antichi linguaggi. Per incrementare negli spettatori la capacità di lettura e la propensione a leggere tra le righe e a spiare tra le quinte: condizione necessaria per mettere in scena, tramite un nuovo teatro, una società nuova.

Di quel bellissimo discorso cito invece un altro passaggio: lì dove sono menzionata, e sono presentata come un’amica di Franca. Non potrei immaginare un complimento più lusinghiero e gratificante per il bilancio della mia vita. Né potrei immaginare un migliore epitaffio per me: Delia Gambelli, un’amica di Franca Rame.

E se ora volessi scrivere un’altra dedica a Franca? Di sicuro sarebbe molto più lunga, troppo lunga per la pagina di un volume, perché tra l’altro non potrei non ringraziarla per averci mostrato come possano conciliarsi felicità e rettitudine, compassione e verità, bellezza e coraggio, umiltà sincera e autentico talento.

Proverei allora a esprimere gratitudine, ammirazione e affetto infiniti in un’immagine: A Franca, che ha incantato e ancora incanta il mondo.

A Franca che ora, mentre il mondo la canta e continuerà a cantarla, è di sicuro già intenta ad incantare gli angeli, ad ammaliare, e di conseguenza a far diventare migliori e più felici, i fortunati abitanti di altri mondi, di nuove terre e nuovi cieli.”

Delia Gambelli