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Non sarà una sfida facile e per questo potremmo anche fallire. Perchè no.
Ma qualcuno ha detto: “Posso accettare di fallire, chiunque fallisce in qualcosa, ma io non posso accettare di non tentare”.

Quello che ci chiede l’oggi con drammatica urgenza è attivarci con tutte le forze, competenze, affetto, volontà, per fare, pur nei nostri limiti, attraverso un lavoro a più cervelli, dei tentativi di produrre eccellenze. Per noi stessi, per chi ci ha dato fiducia, per coloro che ci scopriranno incontrandoci. Per tutto questo dovremo farci novità vitale, piacevole sorpresa, incoraggiamento al fare e fare bene. Mai come oggi il Teatro, ma la cultura in genere, sono diventati una trincea dove si combatte una dura guerra di posizione perchè l’inciviltà non vinca sulle nostre speranze e sulle aspirazioni più alte e degne.”

Questa era la mia dichiarazione letta durante la conferenza del marzo 2013 durante la quale ci presentammo come persone e progetto alla stampa.

Quello che segue è una sorta di consuntivo dopo un ‘primo tempo’ durato due anni e qualche mese. Tempo coronato da un incredibile successo di pubblico, critica e da un’attenzione dei media che mai ci saremmo immaginati quando battezzammo un po’ timorosi ma determinati a fare del nostro meglio, la prima stagione teatrale. Ebbene, incontrando artisti che con le loro creazioni attrassero persone di estrazioni ed età diverse, offrendo ospitalità alle realtà locali che trovarono casa nel nostro spazio aperto a tutte le richieste che fummo in grado soddisfare, costruimmo in poco più di due anni una realtà che sorprese tutti risultando a detta del Ministro della Cultura Franceschini “un raro esempio virtuoso di sposalizio fra pubblico e privato da esportare a livello nazionale”. Quello che poteva sembrare un mero e divertente slogan pubblicitario: “Non proporremo un teatro degli effetti ma un teatro dell’affetto”, si rivelò un modo di pensare che il pubblico recepì premiandoci con la sua presenza e che catturò l’interesse di moltissimi artisti che da tutta Italia parteciparono alle nostre stagioni perché, al di là del guadagno che in pochi hanno potuto vantare vista l’impossibilità di fare incassi sostanziosi, l’importante era essere nelle nostre stagioni come segno di una volontà quasi partigiana. Il segreto di questo straordinario risultato sta in un pensiero semplice: “Un teatro ha bisogno di un’identità che sia facilmente riconoscibile da coloro che vivono intorno ad esso, non deve sembrare un fortino assediato da una realtà che sente le sue mura ostili, lontane, altre da quelle delle loro case.”

Ecco, per noi fu fondamentale presentarci da subito come dei buoni vicini di casa capaci di portare in dote al quartiere un salotto in più, una stanza comune dove potersi incontrare e parlare di cose sensibili: affetti, impegno civile, arte, teatro, musica. Vita. Da persone ci calammo fra le persone, e come tali fummo riconosciuti dalle persone.

Le porte del nostro teatro rimasero sempre aperte a chiunque avesse avuto voglia di entrare, chiedere e conoscerci meglio.

Questo il segreto di un successo straordinario in un quartiere che nelle cronache cittadine spesso viene dipinto come un girone infernale ma che fra i suoi numerosi e gravi problemi e le sue contraddizioni ha fatto nascere una stirpe di persone che vogliono solo avere la possibilità di dimostrare i loro sentimenti e le loro più alte aspirazioni.

Ora comincia il secondo capitolo. La nostra battaglia ricomincia con lo stesso struggente accanimento per la vita di prima… Anzi!  Stateci vicini. Da soli si recita solo tristezza.

Alessandro Benvenuti.