15/10/2014

mercoledì 15 ottobre ore 21.00

di Luigi Pirandello
con Marcello Amici, Marco Vincenzetti, Vita Pugliese, Anna Varlese, Massimo Folgori, Carlo Bari, Giulia Crescente, Antonella Arduini, Daniele Borzelli, Andrea Carpiceci, Alessandra Ferro, Marica Malgarini, Martina Meddi
scene Marcello de Lu Vrau
costumi Natalia Adriani
regia Marcello Amici

Mattia Pascal è un modesto impiegato. È diventato un guardiano di libri nella biblioteca comunale, vive una vita grama e soffocata, rattristata dai continui litigi con la suocera e la moglie. Avvilito e sfiduciato, un giorno, Mattia Pascal abbandona la famiglia con l’intenzione di imbarcarsi per l’America, così, alla ventura. È la ribellione di un vinto. Capita per caso a Montecarlo, gioca al casinò e vince una grossa somma: ottantaduemilalire! Leggendo un giornale apprende che al suo paese è stato trovato il cadavere di un uomo annegato in un fosso e si è creduto di riconoscere in quel povero corpo proprio lui, Mattia Pascal. Se gli altri lo hanno creduto morto, nulla gli vieta di considerarsi tale. Cambia il proprio nome in quello di Adriano Meis, si nasconde dietro un paio di occhiali azzurrini, viaggia, si trasferisce a Roma, si innamora di un’umile ragazza. La moltiplicazione delle verità, l’irrealizzabile libertà, amaramente, gli fanno capire, però, che fuori della legge e fuori di quelle particolarità, liete o tristi che siano, per cui noi siamo noi, non è possibile vivere. Finge il suicidio di Adriano Meis, torna al suo paese, ma si accorge che tutti, nella certezza della sua scomparsa, hanno continuato a vivere. La moglie, addirittura, si è risposata e ha avuto una figlia dal secondo marito. Mattia Pascal è un escluso, non c’è più posto per lui, perché durante la sua assenza tutto si è sistemato per bene. Si reca alla sua tomba per deporvi una corona di fiori. La commedia è al suo vertice: egli è il morto, è il fu Mattia Pascal.

La vita o si vive o si scrive, confidò Pirandello a Ugo Ojetti in una lettera del 1921. Ed è quanto fa Mattia Pascal, ormai avanti negli anni, in un racconto ironico, in prima persona, della sua bislacca avventura della vita. Lo fa nella penosa situazione di morto-vivo! Si racconta in un serrato, incalzante, inesausto narrare di sé, ora ironico, ora cinico, ora amaro e ora disarmato, doloroso, senza slittamenti patetici; sempre controllato nel suo vedersi vivere, nel suo confessarsi. Solo con sé stesso, come tanti altri deserti personaggi che popolano il mondo pirandelliano.
Tutto avviene col ritmo rapido della farsa provinciale pirandelliana, popolata di personaggi e di avvenimenti singolari. Il loro stare sulla scena è concentrato, ristretto e intenso.
Nella seconda parte Pascal inforca un paio di occhiali e prende il nome di Adriano Meis. È allora che l’esistenza di Mattia Pascal prende ad assomigliare ai personaggi di Kafka, Moravia, Svevo (uno per tutti: Emilio Brentani di Senilità), i quali, di fronte alla totale solitudine e incomunicabilità, sentono angoscia e noia esistenziale.
Mattia Pascal è l’uomo dalle decisioni improvvise e cieche, non è l’uomo dalle grandi qualità o dai difetti enormi in cui riconoscere i grandi valori o la negazione di essi, ma un narratore di sé stesso, della sua coscienza dissociata divisa tra il sogno di una seconda identità e il peso inevitabile di una vita determinata dalle convenzioni sociali e dalla condanna a portare una maschera per recitare sempre la stessa parte. A Roma, la libertà dell’uomo proveniente da Montecarlo si esaurisce nelle intenzioni. Solo la messa in scena del finto suicidio è degna in tutto di Mattia Pascal, sempre pronto alle decisioni improvvise e cieche, a quel desiderio di vita che tortura tutti i personaggi dell’uomo del Kaos. Mattia Pascal è un escluso, è stato condannato a una terribile pena: quella della compagnia di sé stesso.
La regia ha miscelato tragedia arcaica e comicità farsesca. Il protagonista rincorre il suo playback, bara con sé stesso; la semantica del ricordo è anche nella scenografia che ha incanalato fatti e persone, nella musica di Rossini, scomposta e ricomposta, per accompagnare la storia di un uomo che ha sempre raccontato: da allora, ho fatto il gusto a ridere di tutte le mie sciagure e di ogni mio tormento. Mi vidi in quell’istante, attore di una tragedia che più buffa non si sarebbe potuta immaginare.